Diminuiscono gli infortuni sul lavoro mentre aumentano le malattie professionali
Infortuni sul lavoro e malattie professionali 2009
Sono 790.000 gli infortuni sul lavoro avvenuti nel 2009, per un calo del 9,7% rispetto al 2008 (85mila in meno). I casi mortali sono stati 1.050, per una flessione del 6,3% (70 decessi in meno). Questi, in estrema sintesi, i numeri più significativi che si ricavano dal bilancio delle denunce pervenute all‟INAIL alla data di rilevazione ufficiale del 30 aprile 2010.
Calano infortuni e morti sul lavoro: è la flessione più alta dal 1993
Aspetto particolarmente significativo: la riduzione maggiore ha riguardato gli infortuni in occasione di lavoro – quelli effettivamente verificatisi durante lo svolgimento delle attività lavorative – per i quali il numero delle denunce si è ridotto del 10,2%, a fronte di un calo del 6,1% degli infortuni in itinere (avvenuti durante il tragitto casa/lavoro e viceversa).
Analoga – anche se in misura meno sostenuta – la flessione dei casi mortali: quelli in occasione di lavoro sono passati dagli 829 del 2008 ai 767 del 2009 (-7,5%), mentre i decessi in itinere sono scesi da 291 a 283 (-2,7%). Sempre nell’ambito degli infortuni mortali in occasione di lavoro, di particolare importanza è il numero di quelli occorsi sulla strada a lavoratori che operano in questo specifico ambito (autotrasportatori di merci o di persone, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc.), scesi comunque dai 338 casi del 2008 ai 303 del 2009 (-10,4%).
“E‟ dal 1993 – quando vi fu un calo dell‟11,7% degli incidenti rispetto al 1992 – che nell‟andamento complessivo degli infortuni non si registrava una flessione di questo livello” afferma Marco Sartori, Presidente dell’INAIL. “Nel 2008, anno pure molto positivo, la riduzione si era attestata invece intorno al 4,1%. In questo contesto, di per sé significativo, è importante sottolineare come parte sensibile della riduzione abbia riguardato gli infortuni relativi all‟effettivo svolgimento dell‟attività lavorativa: 79.064 casi in meno è un numero davvero rilevante”.
Per quanto riguarda, invece, “la diminuzione più contenuta dei casi mortali, diminuzione pure rilevante“, ricorda Sartori, “è un ambito dove il margine di contenimento di per sé è minore, trattandosi di cifre già sensibilmente ridotte nel corso di questi ultimi anni: basti pensare che, nel 2001, i decessi erano stati 1.546”.
La crisi economica riduce del 3% il tempo di esposizione al rischio
Il 2009 è stato un anno fortemente condizionato dalla grave crisi economica internazionale che ha interessato il nostro Paese già a partire dalla seconda metà del 2008 e poi si è protratta e acutizzata nel corso dei mesi successivi. Tutto ciò si è tradotto non solo in un calo del numero di occupati (secondo l’Istat pari al –1,6%), ma anche in una riduzione nella quantità di lavoro a seguito di interventi operati dalle aziende: dai tagli di straordinario e di lavoro temporaneo al ricorso alla cassa integrazione.
Complessivamente – sulla base di elaborazioni effettuate da una parte sui dati Istat in relazione agli occupati e alle ore lavorate pro-capite e, dall’altra, sulle informazioni dell’INAIL rilevate dagli archivi DNA (Denuncia nominativa assicurati) – è possibile stimare che il tempo di lavoro e, quindi, di esposizione al rischio di infortuni abbia subito una contrazione media generale di circa il 3%, con una forte variabilità a livello territoriale, settoriale e di dimensione aziendale.
Una percentuale che fa ragionevolmente ritenere che la riduzione reale degli infortuni sul lavoro, calcolata in termini di incidenza – depurata cioè della componente “perdita di lavoro” – si possa stimare pari a -7% per gli infortuni in generale e a -3,4% per quelli mortali.
“L‟effetto della crisi in termini di riduzione degli infortuni sul lavoro di sicuro c‟è stato, ma ha riguardato solo una componente minoritaria del fenomeno”, valuta Sartori. “Le riduzioni più significative in termini numerici sono, invece, da attribuire all‟effettivo miglioramento dei livelli di sicurezza in atto ormai da molti anni nel nostro Paese e vanno interpretate, pertanto, come il risultato delle politiche messe in atto da governi, parti sociali – aziende e sindacati – e da tutti i soggetti che agiscono in materia di prevenzione, a partire certo dall‟INAIL. Si tratta, del resto, di un dato in linea con un trend storico consolidato: se analizziamo, infatti, l‟andamento infortunistico dal 2002 al 2009 vediamo come gli incidenti complessivi siano diminuiti del 20,4% e i casi mortali del 29%”.
Meno incidenti per gli uomini e nelle aree industriali del Paese
Un’analisi dell’andamento infortunistico del 2009 condotta in ottica di genere evidenzia come la flessione degli incidenti non sia stata uniforme, ma molto più accentuata per gli uomini (-12,6%) rispetto alle donne (-2,5%). Diversa, invece, la situazione relativa ai casi mortali, con una riduzione del 14% per la componente femminile (74 lavoratrici decedute rispetto alle 86 del 2008), a fronte del 5,6% relativo agli uomini (dai 1.034 morti del 2008 ai 976 del 2009). Va evidenziato, tuttavia, che per le donne il 60% delle morti si è verificato in itinere.
A livello settoriale la diminuzione degli infortuni sul lavoro è stata molto più sostenuta nell’Industria (-18,8%) che nei Servizi (-3,4%) o nell’Agricoltura (-1,4%). Il calo più significativo si registra nel comparto manifatturiero (-24,1%) e nelle Costruzioni (-16,2%), mentre per quanto riguarda i Servizi, apprezzabili riduzioni si registrano nei Trasporti (-12,5%) e nel Commercio (-9,1%). Per i casi mortali il 2009 segna una riduzione sensibile nell’Industria (-7,9%) e nei Servizi (-6%), mentre in Agricoltura si registra una sostanziale stabilità.
L’analisi territoriale, ancora, mostra che la riduzione degli infortuni ha riguardato tutte le grandi aree geografiche, con maggiore accentuazione nel Nord-Est (-12,8%) e nel Nord-Ovest (-9,3%). Cali più moderati si rilevano, invece, al Centro (-8,2%) e nel Mezzogiorno (-6,8%).
Per quanto riguarda i casi mortali, questi sono diminuiti in particolar modo nel Nord-Est (62 decessi in meno, pari al -21,9%) e nel Nord-Ovest (-6,2%). Molto più contenuto il calo nel Mezzogiorno (-1,7%). In controtendenza il Centro, che registra un aumento del 7,9% degli eventi mortali dovuto principalmente ad un incremento dei decessi nel Lazio.
“In generale, il calo degli incidenti presenta connotazioni riferibili prevalentemente alle attività industriali – quelle che più delle altre hanno risentito della crisi – interessando maggiormente le aree del Nord industrializzato e i lavoratori maschi che, dell‟Industria, rappresentano la componente lavorativa preponderante”, osserva Sartori. “Non è casuale, quindi, che il 60% degli infortuni si sia concentrato nelle aree del Nord a maggiore densità produttiva e il crollo degli infortuni in comparti come l‟industria manifatturiera e le costruzioni, più di altri colpiti dalla crisi economica con un calo occupazionale rispettivamente del 4,3% e del 16,2% , quasi triplo rispetto a quello medio generale”.
Stranieri: per la prima volta incidenti in flessione
Il 2009 ha registrato, per la prima volta, un decremento degli infortuni dei lavoratori stranieri, dagli oltre 143mila casi del 2008 ai 119mila del 2009, per un calo del 17%. Anche in questo caso la flessione ha riguardato prevalentemente la componente maschile (-20,3%), rispetto a quella femminile (-4,9%). I casi mortali sono diminuiti di 39 unità passando da 189 a 150.
Il calo si è verificato maggiormente nell’Industria, in particolare nei settori del manifatturiero notoriamente ad alta presenza di lavoratori stranieri, nei quali – come già detto – la crisi produttiva e occupazionale è stata più acuta.
Rumeni, marocchini e albanesi sono, nell’ordine, le comunità che ogni anno denunciano il maggior numero di incidenti, totalizzandone ben il 40%. Se si considerano, poi, i casi mortali la percentuale supera il 50%: in altri termini un deceduto di origine straniera su due, in Italia, proviene da una delle tre comunità.
“E‟ la prima volta nell‟ultimo decennio – da quando, cioè, il fenomeno ha assunto una rilevanza statistica – che è stata registrata una flessione degli infortuni tra i lavoratori stranieri, sempre più presenti nel mercato del lavoro italiano”, afferma Sartori. “Il calo è da attribuire, in parte, alla riduzione complessiva delle opportunità di lavoro che ha interessato tutta la popolazione del Paese e, dunque, anche gli stranieri – colpiti, peraltro, da livelli di precarietà superiori agli italiani – ma, in parte anche consistente, al miglioramento delle loro condizioni per quanto riguarda prevenzione e sicurezza”.
Emersione delle malattie professionali: le denunce crescono del 16%
Il 2009 è stato un anno record per le malattie professionali. Le denunce complessive sono state 34.646: il valore più alto degli ultimi 15 anni, per un aumento del 15,7% rispetto ai 30mila casi del 2008 e di circa il 30% in 5 anni (8mila denunce in più rispetto alle quasi 27mila del 2005).
L’Agricoltura è il comparto più interessato: le segnalazioni pervenute all’INAIL sono più che raddoppiate in un solo anno (da 1.834 del 2008 a 3.914 del 2009, +113,4%) e triplicate nell’ultimo quinquennio.
Impennata per le malattie dell’apparato muscolo-scheletrico (tendiniti, affezioni dei dischi intervertebrali, sindrome del tunnel carpale, ecc.) dovute a sovraccarico biomeccanico: con quasi 18mila casi denunciati – per un aumento del 36% rispetto al 2008 – e raddoppiate in cinque anni (erano poco meno di 9mila nel 2005) – sono emerse prepotentemente come le vere protagoniste del fenomeno tecnopatico.
“Questo boom complessivo è dovuto a serie di fattori diversi che, da alcuni anni ormai, stanno contribuendo all‟emersione di quelle che gli esperti definiscono „malattie nascoste‟. Non a caso, anche l‟INAIL da tempo segnala come questo fenomeno soffra di una cronica forma di sottodenuncia”, rileva Sartori. “Spesso, infatti, i lavoratori non sono al corrente dei propri diritti e, in tal senso, va rimarcata la positività dell‟opera di sensibilizzazione e di informazione messa in atto dall‟Istituto, ma anche dai sindacati, dalle associazioni di categoria e dai patronati”.
A tutto ciò si aggiunge l’entrata a regime delle nuove tabelle, in base al decreto ministeriale del 9 aprile 2008. “Il provvedimento ha incluso come tabellate alcune malattie che prima non lo erano”, spiega Sartori. “In passato per queste patologie era necessario provare il nesso con la causa professionale, adesso beneficiano della presunzione legale di origine. Non a caso tra le malattie tabellate figurano ora anche quelle da sovraccarico biomeccanico e da vibrazioni meccaniche, che interessano l‟apparato muscolo-scheletrico, e che nel 2009 hanno registrato un sensibile aumento delle denunce”.
Infine, un effetto tecnico collaterale del ridisegno delle tabelle, elencate ora per specifica patologia piuttosto che per agente patogeno, è stato l’aumento delle denunce “plurime” (più tipi di malattia denunciati contemporaneamente dalla stessa persona) che, nel 2009, hanno raggiunto la considerevole quota del 20% del totale delle denunce, contribuendo significativamente al boom delle denunce.
Il raffronto con l’Europa: Italia meglio della media Ue
Sulla base dei tassi d’incidenza standardizzati Eurostat l’Italia registra per il 2007 (ultimo anno reso disponibile da Eurostat) un indice infortunistico pari a 2.674 infortuni per 100.000 occupati: più favorevole, dunque, rispetto a quello medio riscontrato nelle due aree U.E. (3.279 per l’Area Euro e 2.859 per l’U.E.-15). La graduatoria risultante dalle statistiche armonizzate colloca l’Italia, in posizione migliore rispetto ai maggiori Paesi del vecchio continente come Spagna (4.691), Francia (3.975) e Germania (3.125).
Per quanto riguarda gli infortuni mortali, nel 2007 si è registrata per l’intera Ue, rispetto all’anno precedente, una diminuzione dei tassi d’incidenza da 2,4 a 2,1 decessi (sempre per 100.000 occupati), anche se tale valore è ancora provvisorio, poiché alcuni Paesi non hanno comunicato a Eurostat i dati riguardanti l’anno 2007. Anche l’indice dell’Italia ha registrato nel 2007 un calo da 2,9 a 2,5 decessi per 100.000 occupati, mantenendosi ancora al di sopra del valore medio Ue.
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